Ricerca | Lavoro da remoto, conciliazione tra tempi di vita e lockdown : per una prospettiva di genere.

Pubblicato
il 12 Marzo 2022

di Anne-Iris Romens (University of Milano-Bicocca)

Un numero crescente di pubblicazioni in lingua italiana studia il lavoro da remoto, in particolare dopo che il lockdown ha costretto migliaia di lavoratrici e lavoratori a ricorrere a questa modalità lavorativa. Tuttavia, sono poche le ricerche che analizzano l’argomento con una prospettiva di genere. Attraverso la revisione della letteratura, il contributo mette in discussione l’idea secondo la quale il lavoro da remoto permetta di migliorare la conciliazione tra i diversi tempi di vita, riducendo le disuguaglianze in base al genere. L’articolo sostiene che sia necessario contestualizzare il lavoro da remoto, in quanto in un regime di genere asimmetrico come quello italiano, questa modalità può rafforzare la divisione tradizionale del lavoro in base al genere. Si rivisitano inoltre in una prospettiva di genere le nozioni utilizzate nella letteratura per riferirsi al lavoro da remoto e alla conciliazione tra vita e lavoro. Quindi l’articolo studia, contestualizzandolo, l’impatto del lavoro da remoto sulla conciliazione tra tempi di vita. Infine, nelle conclusioni ci soffermiamo sugli ambiti nei quali potrebbero essere svolte ulteriori ricerche.

Allo scopo di dare un contributo alla discussione su un tema così complesso, mediante gli strumenti teorici e metodologici dell’antropologia, il panel intende sollecitare una riflessione che sia innanzitutto in grado di decostruire le retoriche mainstream riguardanti le aree interne (ad esempio l’estetica dei piccoli borghi, l’elogio della lentezza, gli abusati concetti di resilienza, decrescita felice e restanza, o, ancora, le pratiche del ritorno alla terra dei giovani e del south working). La proposta del panel mira, dunque, a raccogliere contributi e riflessioni critiche intorno a tali categorie diffuse nella produzione di discorsi che spaziano tra le discipline, generando nuovi sguardi e processi complessi. E intende farlo riflettendo su una possibile idea di futuro di queste aree, a partire dalle esperienze e dai contributi di antropologi che abbiano posto un focus sui luoghi ma soprattutto su chi li abita e li attraversa, in riferimento a questioni abitative, migratorie, produzione locale di saperi e saper fare, forme di neoruralità, processi di produzione e riproduzione dei patrimoni culturali e le pratiche associative ad essi collegate, stratificazioni di lunga durata (traducibili anche in dinamiche non omogenee di potere, nelle molteplici forme in cui può manifestarsi), azioni sui territori capaci di generare dinamiche culturali che passano anche attraverso, l’immaginazione individuale e collettiva dei luoghi.

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di Marina Berardi (Università degli Studi della Basilicata), Domenico Copertino (Università degli Studi della Basilicata), Vita Santoro (Università degli Studi della Basilicata)

Da qualche tempo si assiste, nel nostro Paese, alla produzione di discorsi e retoriche intorno alle cosiddette “aree interne”, un processo sollecitato da un lato, dall’attuazione di strategie di sviluppo nazionali e sovranazionali, e determinato, dall’altro, dall’interesse maturato da parte di differenti ambiti disciplinari e dalle progettualità sempre più diffuse, anche endogene, rivolte a territori fragili, marginali e soggetti a contrazione demografica. Tale processo è stato fortemente accelerato dall’attuale pandemia da COVID-19, tanto da esplodere in breve tempo, producendo miriadi di immaginari e narrazioni, quasi sempre poco rispondenti alle concrete e diseguali condizioni abitative e di vita delle comunità locali, come anche poco attenti alle dinamiche culturali e ai molteplici processi in corso, in primis quelli migratori. Si tratta di quegli stessi luoghi nei quali gli antropologi conducono talvolta le proprie ricerche e di quegli stessi processi che sono soliti osservare, documentare, descrivere, e sui quali producono essi stessi riflessioni e discorsi, contribuendo in tal modo e consapevolmente a consolidarne l’immaginazione e ad accrescere la pletora di etero ed auto rappresentazioni dei territori interni e marginali.

Allo scopo di dare un contributo alla discussione su un tema così complesso, mediante gli strumenti teorici e metodologici dell’antropologia, il panel intende sollecitare una riflessione che sia innanzitutto in grado di decostruire le retoriche mainstream riguardanti le aree interne (ad esempio l’estetica dei piccoli borghi, l’elogio della lentezza, gli abusati concetti di resilienza, decrescita felice e restanza, o, ancora, le pratiche del ritorno alla terra dei giovani e del south working). La proposta del panel mira, dunque, a raccogliere contributi e riflessioni critiche intorno a tali categorie diffuse nella produzione di discorsi che spaziano tra le discipline, generando nuovi sguardi e processi complessi. E intende farlo riflettendo su una possibile idea di futuro di queste aree, a partire dalle esperienze e dai contributi di antropologi che abbiano posto un focus sui luoghi ma soprattutto su chi li abita e li attraversa, in riferimento a questioni abitative, migratorie, produzione locale di saperi e saper fare, forme di neoruralità, processi di produzione e riproduzione dei patrimoni culturali e le pratiche associative ad essi collegate, stratificazioni di lunga durata (traducibili anche in dinamiche non omogenee di potere, nelle molteplici forme in cui può manifestarsi), azioni sui territori capaci di generare dinamiche culturali che passano anche attraverso, l’immaginazione individuale e collettiva dei luoghi.

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di Antonio Aloisi (IE Law School), Valerio De Stefano (York University)

Automazione, algoritmi, piattaforme, smart working: il mondo del lavoro sta vivendo una vera e propria rivoluzione. La paura è che crolli il numero degli occupati e che il lavoro umano venga riconosciuto e apprezzato sempre meno. Si teme la capacità di controllo dei software di intelligenza artificiale. Ma non esistono tecnologie buone e tecnologie cattive; esistono usi distorti e usi consapevoli delle invenzioni e delle innovazioni. La tecnologia cambia rapidamente e incide in profondità in tutti gli ambiti, con esiti spesso preoccupanti. È quello che accade al mondo del lavoro, tra trasformazione digitale, utilizzo dei robot e dell’intelligenza artificiale e diffusione delle piattaforme. Che cosa sta accadendo alle professioni che non sono state spazzate via dalla tecnologia? Come ci si confronta con strumenti di sorveglianza dei lavoratori sempre più pervasivi? Quante possibilità ci sono che il modello della gig-economy si affermi come nuovo paradigma produttivo? Che cosa potranno fare le parti sociali e le forze politiche per mettere in campo protezioni efficaci? La qualità del lavoro presente e futuro dipende da come esso è concepito, contrattato e organizzato. La trasformazione digitale può essere infatti un alleato indispensabile, dalla fabbrica alla scrivania, dal magazzino all’ufficio, ma va messa alla prova sul terreno della convenienza sociale e politica e non solo su quello della convenienza economica. Questo libro è uno strumento prezioso per orientarsi con coordinate precise sui nuovi scenari, sui rischi che corriamo e sulle scelte necessarie per affrontare il futuro.

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di Silvia Loré (Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna), Marco Frey (Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna)

Lo Smart Working è un approccio al lavoro flessibile adottato in massa durante la pandemia da Covid-19 per consentire distanziamento sociale e prosecuzione delle attività. Il lockdown ha promosso un cambiamento radicale del concetto di spazio e tempo di lavoro. Ma quali sono gli impatti e quali le potenzialità delle soluzioni di lavoro a distanza? Il presente studio dimostra che lo smart working può configurarsi come una misura vincente per rendere le città più sostenibili e in armonia con l’ambiente, conciliare esigenze di vita e di lavoro, tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, per sopravvivere a crisi di portata globale; riflettere sull’esperienza emergenziale può orientare le imprese verso l’adozione di pratiche più sostenibili proponendosi come promotori della creazione di smart cities.

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di Federica Daniele (Banca d’Italia)

Sulle conseguenze dello smart working in termini di riorganizzazione dell’attività economica all’interno delle città, a cominciare da una sofferenza economico-sociale specialmente per quelle zone a forte prevalenza di uffici, si è parlato molto durante la pandemia (ad esempio qui su Aspenia online). Ma il lavoro da remoto può avere anche delle conseguenze “dinamiche” per città e territori, veicolate dalla mobilità geografica di imprese e lavoratori. Con lo smart working in molti hanno infatti deciso di trasferirsi provvisoriamente a lavorare altrove, fuggendo soprattutto le città più grandi per potere beneficiare di maggiori spazi e prossimità con la natura.

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Pubblicato
il 1 Marzo 2022

Reggio Emilia-Palermo, 1 marzo 2022 – Favorire con tutti i mezzi possibili – dallo studio e l’analisi delle nuove norme in materia fino alla raccolta di best pratice – la diffusione del lavoro a distanza e collaborare, sia in ambito pubblico che in quello privato, per la nascita di realtà che supportino questa particolare tipologia di lavoro che coinvolge tra i 5 e gli 8 milioni di italiani, circa il 30% della forza lavoro. Al tempo stesso sostenere la mappatura e la registrazione spontanea alla community di «South Working» di chi intende lavorare secondo i principi dello smart working da territori non industrializzati, in particolare quelli del Sud Italia. Sono alcuni degli obiettivi su cui sono impegnati IFOA, ente specializzato nella formazione professionale e nelle politiche attive del lavoro, e South Working – Lavorare dal Sud, l’associazione di promozione sociale attiva nella diffusione di un modello di lavoro flessibile che permetta di lavorare a distanza in via principale da dove si desidera. Obiettivi contenuti in un Memorandum of understanding recentemente sottoscritto dalle due realtà. 

«L’esperienza maturata nei due anni di pandemia – spiegano IFOA e South Working – Lavorare dal Sud A.P.S. – ha dimostrato i punti di forza del lavoro agile, uno strumento che può consentire al lavoratore di guadagnare una maggiore autonomia, potendo decidere più liberamente come gestire l’attività lavorativa e quindi il proprio tempo, il tempo che dedica a sé stesso e ai suoi affetti, e dall’altro lato al datore di lavoro di mettere in atto un’organizzazione più snella e ottenere una maggiore produttività. Entrambe le parti, inoltre, possono reciprocamente trarre beneficio dai vantaggi che ciascuno ha, avviando, così, un circolo virtuoso».

Se utilizzato correttamente, lo smart working può quindi favorire un netto miglioramento della vita personale dei lavoratori, ma anche delle condizioni ambientali grazie ad una importante riduzione delle emissioni inquinanti come effetto della riduzione del traffico delle auto. «Il lavoro da remoto – proseguono i firmatari dell’accordo – si è rivelato uno strumento utile anche a ridurre il divario economico, sociale e territoriale nel Paese, a patto che si sviluppino e si rafforzino le infrastrutture digitale, di mobilità e sociale identificate dall’Associazione che stanno alla base di questa “rivoluzione” nel mondo del lavoro».

In attesa dell’entrata in vigore delle nuove regole fissate per la fine dello stato d’emergenza Covid, l’accordo assume un valore in più per IFOA e South Working – Lavorare dal Sud, che s’impegnano tra l’altro ad avviare collaborazioni per consentire la diffusione della cultura digitale tra amministratori pubblici, aziende e cittadini, con l’obiettivo di superare il digital divide.

In foto: Mario Mirabile (a sx), Vicepresidente South Working – Lavorare dal Sud e Umberto Lonardoni (a dx), Direttore Generale IFOA.

Contatti:

Mario Mirabile Vicepresidente esecutivo e project manager South Working – Lavorare dal Sud / mario.mirabile@southworking.org Website: www.southworking.org

Monica Cascone Ufficio Stampa IFOA +39 0522 329318 / cascone@ifoa.it Website: www.ifoa.it / Press Area: https://www.ifoa.it/ifoa-media/

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il 17 Gennaio 2022

Study Room è un progetto nato a Napoli nel quartiere Fuorigrotta nel 2019, patrocinato dalla Città di Napoli. 

Study Room nasce dall’idea di Diana Capuano ed è pensato soprattutto per venire incontro alle esigenze degli studenti universitari allea prese con gli esami. Ma con la pandemia e la necessità di trovare spazi dove poter lavorare che non siano a casa, il silenzio e la riservatezza delle aule di Study Room sono un’ottima risorsa. 

Study Room è sempre aperta e conta 500 postazioni, wi-fi, aree ristoro e tanti altri servizi che potrete trovare sulla nostra mappa dei presidi: Study Room è infatti parte della Rete della SW eCard! 

Da poco inoltre è nata una seconda sede, nella zona di ArcoFelice, Pozzuoli: un’area all’aperto, perfetta per lavorare e studiare durante l’estate. Secondo lo studio di un’Università Californiana, studiare all’aria aperta aumenta la concentrazione del 60%: la location immersa nell’oasi naturalistica di Montenuovo ha favorito la diminuzione dello stress durante la sessione estiva di esami. 

Scopri di più su questa innovativa realtà del Sud sul sito di Study Room

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il 29 Dicembre 2021

Senza Problemi – Doposcuola & Coworking è uno spazio aperto a ottobre 2020 dopo uno scambio di chiacchiere avvenuto “casualmente” all’incrocio di una strada a Palermo nell’aprile dello stesso anno, reduci dalla pandemia e dal primo famoso lockdown.

La pandemia è stata per questi ragazzi una chiamata cui hanno voluto rispondere a gran voce: l’occasione per ritornare in quel Sud che avevano lasciato con la promessa di arricchirlo. 

I colori, i suoni e gli odori di Palermo sono ciò che li spinge a credere che se ognuno facesse qualcosa per migliorare questa realtà, non ci sarebbe bisogno di scappare lontano da affetti o dalle bellezze delle nostre città. 

Senza Problemi è uno spazio ibrido: coworking la mattina mentre il pomeriggio è dedicato alla formazione post scolastica. 

È uno spazio piccolo, intimo e accogliente, che fa parte della rete della SWeCard: scoprite come ottenerla sul nostro sito. 

Per scoprire di più su Senza Problemi, visitate il loro sito: lo trovate al link in bio o nelle storie. 

Pubblicato
il 13 Dicembre 2021

Il Coworking ‘Artefacendo’ con le sue 8 postazioni in poco più di 50 mq è probabilmente il coworking più piccolo del mondo.

Nato all’interno dei Laboratori Urbani Artefacendo di San Giovanni Rotondo (FG) nel 2019, il coworking organizza durante tutto l’anno momenti di formazione attraverso workshop, masterclass e seminari nonché talk e barcamp per tenere sempre alta l’attenzione sui temi della digital transformation, della startup e della cultura d’impresa. Artefacendo è aperto 7 giorni su 7, 24 ore su 24.

Per chi utilizza lo spazio il primo giorno è completamente gratuito, dopodiché se il lavoratore è soddisfatto gli verranno affidate le chiavi della struttura, con possibilità di accesso in qualsiasi momento del giorno e della notte. La fruibilità “all day and night” dello spazio è resa possibile grazie ad un avanzatissimo sistema d’accesso: la fiducia!

Il Coworking Artefacendo vuole essere un presidio di innovazione sociale, culturale e imprenditoriale per offrire accoglienza a chi viene da fuori, essere un punto di partenza per chi resta e essere un punto d’incontro per tutti, nel quale confrontarsi, contaminarsi, crescere insieme.

Pubblicato
il 26 Giugno 2020

di Jaime D’Alessandro

Elena Militello, ricercatrice dell’Università del Lussemburgo, si occupa di procedura penale comparata. Ha 27 anni, è di Palermo. La sua città natale l’ha lasciata nel 2010 per andare a Milano a studiare alla Bocconi. Poi…

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